Politica-Ontologia-Ecologia
Una proposta di seminario nazionale
Pisa 5-6 Ottobre 2017

Luigi Pellizzoni
(Università di Pisa)

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Partecipanti

Alfredo Agustoni sociologo (Università di Chieti)

Alfredo Alietti sociologo (Università di Ferrara)

Gennaro Avallone sociologo (Università di Salerno)

Mara Benadusi antropologa (Università di Catania)

Maura Benegiamo sociologa/antropologa (PhD IUAV)

Filippo Bertoni antropologo/STS (Aarhus University)

Nadia Breda – antropologa (Università di Firenze)

Laura Centemeri sociologa/STS (CNRS)

Emanuele Leonardi sociologo (Università di Coimbra)

Ottavio Marzocca filosofo (Università di Bari)

Alvise Mattozzi (semiologo/STS)

Dario Minervini – sociologo (Università ‘Federico II’ Napoli)

Dario Padovan sociologo (Università di Torino)

Sonia Paone sociologa (Università di Pisa)

Luigi Pellizzoni sociologo (Università di Pisa)

Agostino Petrillo sociologo (Politecnico di Milano)

Roberta Raffaetà antropologa (Università di Milano-Bicocca)

Ivano Scotti sociologo (Università Federico II Napoli)

Salvo Torre geografo (Università di Catania)

Matteo Villa sociologo (Università di Pisa)

Francesco Zanotelli – antropologo (Università di Messina)

 

La problematica
L’intersezione fra tre termini – politica, ontologia, ecologia – identifica un’area problematica oggi particolarmente saliente, sia per i processi in atto che per le analisi in corso. Tali analisi tuttavia, questa almeno l’impressione di chi scrive, tendono a lavorare o su uno solo dei tre ambiti problematici, oppure sulla connessione tra due di essi. Risulta viceversa carente la triangolazione che si vorrebbe sviluppare.
Per esempio, il nesso tra politica e ecologia è da tempo al centro di riflessioni di matrice prevalentemente marxista (p. es. Harvey 1996; Smith 2010). Queste ultime vedono i processi di accumulazione capitalista svolgersi in un viluppo di sfruttamento del lavoro umano e della Terra; sfruttamento che sta progressivamente depauperando e distruggendo l’uno e l’altra. L’idea portante di questi approcci è che non c’è transizione ecologica senza trasformazione politica (o se si vuole degli assetti socio-economici dominanti); o che, viceversa, la trasformazione politica implica una trasformazione nel rapporto con la natura. Quest’ultima, tuttavia, nonostante le aperture marxiane al riguardo, viene spesso guardata da una prospettiva tradizionale, dualista in senso cartesiano o kantiano (a seconda di come si intende il nesso tra conoscenza e realtà), il che porta ad accettare una visione altrettanto tradizionale della scienza e della tecnica, come dominio sul mondo materiale, che risulta così una presenza muta – sia pure a volte importante come posta in gioco, vincolo o opportunità – nei conflitti sociali e nelle lotte per il dominio e l’emancipazione. Manca spesso, insomma, un’adeguata riflessione sulle trasformazioni nel rapporto società/natura, rapporto oggi prevalentemente mediato dalla tecno-scienza nel quadro di rapporti capitalistici sempre più regolati secondo logiche neoliberali, che fanno leva su dinamiche biofisiche concepite come significativamente autonome e spesso imprevedibili, non tanto da controllare quanto da ‘cavalcare’ (da qui la fortuna di concetti come ‘resilienza’, ‘antifragilità’ ecc.) (Walker and Cooper 2011; Taleb 2012; Pizzo 2015).
Il nesso tra politica e ontologia costituisce a sua volta uno dei temi classici della teoria politica, quello pertinente al ‘politico’, inteso come sfera di decisioni sull’ordine del mondo in comune. La prospettiva dell’ontologia politica, tuttavia, classicamente trascura le basi e le implicazioni ecologiche dell’ordine sociale, centrandosi su dinamiche tutte interne a quest’ultimo. Negli ultimi anni sono però emerse prospettive che invertono la direzione del nesso tra i due termini: non si tratta più di ragionare sull’ontologia della politica, ma sulla politica dell’ontologia (Mol and Law 2006; Pellizzoni 2015). Ciò che diviene saliente, in altri termini, è come nel conflitto politico sia sempre più in gioco (non solo come posta ma anche e soprattutto come agente) la consistenza materiale della realtà (inclusa la materialità del corpo umano); materialità che quindi non può più essere assunta come data, passivo recipiente dell’azione sociale, ma come co-protagonista del conflitto. In breve, non si può più ragionare sulla politica senza chiamare in causa la prospettiva ecologica e le poste ontologiche implicate. In questo senso vi è tuttavia spesso nelle prospettive di ontological politics una certa sottovalutazione delle condizioni di contesto, in particolare i rapporti di potere, che influenzano il formarsi di particolari emergenze materiali e soggettive, e una sovrastima, a volte una celebrazione, della fluidità e della incomprimibilità vitalistica di tali emergenze, colte nelle loro dinamiche contingenti (Escobar 2010; Baidotti 2013; Viveiros de Castro et al. 2014; per linee critiche Benadusi et al. 2016; Hornborg 2014; Pellizzoni 2015).
Infine si può considerare il nesso tra ontologia e ecologia. Il pensiero ecologista, nelle sue varie articolazioni, ha messo in discussione il modello culturale antropocentrico, che nel lessico della sociologia dell’ambiente è diventato il paradigma dell’eccezionalismo umano. Gli STS hanno a loro volta decostruito il dualismo cartesiano mostrando la co-produzione di cognizione e materialità e dunque la molteplicità delle manifestazioni di quest’ultima. L’antropologia ha contrapposto il naturalismo occidentale ad altre maniere di configurare il nesso umano/non-umano, parlando di multinaturalismo o pluriverso (Viveiros de Castro 1998; Descola 2005; Sahlins 2008), per significare l’inseparabilità delle culture dal mondo biofisico da cui prendono e cui forniscono senso e forma. Ciascuna di queste prospettive insiste quindi, a suo modo, sul fatto che lo statuto del reale è cruciale per l’ecologia; che il modo in cui si concepisce il mondo materiale e la posizione dell’essere umano rispetto ad esso incide in modo determinante sul modo in cui l’uno e l’altro vengono gestiti. Quello che spesso manca è qui tuttavia una riflessione propriamente politica, ossia focalizzata sui rapporti di dominio e le dinamiche di potere; cosa dovuta a varie ragioni, tra cui una propensione culturalista (focus su discorsi, narrative, simboli, immaginari ecc.) e una predilezione per microanalisi di taglio etnografico.
Aree tematiche
Quanto precede mostra che da prospettive diverse emerge il medesimo intreccio: non è più possibile parlare di politica, ontologia o ecologia senza evocare contemporaneamente gli altri due temi. Esplicitare e porre al centro questa triplice relazione sembra quindi utile, forse indispensabile, al fine di un’adeguata comprensione e critica del presente, per esempio riguardo a tematiche quali le seguenti:
a) Trasformazioni del regime di accumulazione capitalista. Siamo di fronte a una rivoluzione tecnologica (ICT/bio-nanotech) o a una crisi strutturale, occultata dietro all’espansione dei mercati finanziari e dei flussi di capitale (Balakrishnan 2012)? Sono corrette le tesi sul capitalismo cognitivo (ritorno della sussunzione formale, lavoratori cognitivi come nuova classe autonoma e potenzialmente rivoluzionaria: cfr. p. es. Vercellone 2007; Virno 2009) o sono esse smentite dallo sfruttamento e asservimento crescente di questa classe (anche e forse prima di tutto in termini di costruzione di senso e soggettività) e da fenomeni come il land grab e la crescente integrazione capitalista della natura, sempre più chiamata a offrire (gratuitamente o a basso costo) ‘servizi’ e ‘infrastrutture’ indispensabili alla gestione o al superamento della crisi (Nelson 2014)? E se siamo di fronte a un ‘ritorno alla Terra’, quale fonte originaria di ogni ricchezza, è questo configurabile nei termini di una ulteriore intensificazione della sussunzione reale (del lavoro umano e non umano), o non magari di una indistinzione crescente tra sussunzione formale e reale (Chicchi et al. 2016) ? Una problematica
specifica, al riguardo, è costituita dalle trasformazioni in corso in campo scientifico e tecnologico: quali sono le implicazioni dei nuovi approcci non-dualisti emergenti nelle pratiche e nella regolazione della tecnoscienza? Che significato ha il contrasto tra accelerazione tecnologica e declino nella produttività degli investimenti, con particolare riguardo alla combinazione tra crisi da sottoproduzione di materie prime e beni agroalimentari e trasferimento sulla natura di funzioni e costi di produzione delle merci e dei processi di integrazione e riproduzione dell’ordine sociale?
b) Nuove lotte, nuovi conflitti. Quali caratteri stanno assumendo i conflitti? Come si configura e che valenza ha l’intreccio tra materiale e sociale che sta emergendo (movimenti ‘neomaterialisti’ per i beni comuni, l’acqua, il cibo, la città, lotte altermondialiste ecc.: cfr. Schlosberg and Coles 2015; Bosi & Zamponi 2015; Meyer 2015)? E’ la prospettiva della giustizia ambientale adeguata ad affrontare le sfide politiche del momento storico? Come si può inquadrare, per esempio, la ‘migrazione ecologica’ all’interno degli attuali flussi migratori? Perché nessuno dei movimenti emersi di recente ha avuto finora più di un effimero successo? Quali sono le implicazioni della governamentalità neoliberale, per esempio in termini di una crescente enfatizzazione dell’interpellazione etica del soggetto, nella sfera dei consumi, del rapporto con sé, dell’uso delle tecnologie, della promozione dell’innovazione (Rose 2007; Virno 2009)? Che ne è della globalizzazione di fronte alle emergenti tendenze alla balcanizzazione dei rapporti internazionali, e che implicazioni ciò può avere sui conflitti in corso? C’è qualche indicazione che la crisi e il reclutamento della natura a svolgere funzioni di integrazione sociale stia portando alla costituzione di un nuovo soggetto politico?
c) Politica del tempo. La questione del tempo si sta facendo sempre più centrale e il rapporto con esso si modifica. Lo si vede, fra l’altro, dall’importanza crescente delle anticipazioni, o dall’assunto sempre più diffuso dell’imprevedibilità come condizione inevitabile, minacciosa ma anche produttiva in ogni ambito, dalla finanza, alla tecnologia, alla sicurezza. Che ne è della precauzione, che era apparsa come risposta all’incertezza e alla disillusione per il technical fix, se essa viene sempre più rimpiazzata dalla pre-emption, ossia un rimodellamento del presente (e del passato) volto allo svuotamento e la cattura del futuro (Pellizzoni 2017), tendenza che emerge non solo in campo militare e securitario (Massumi 2007) ma anche tecnologico, con le nuove politiche dell’innovazione (Nordmann 2014) e finanziario, con la modulazione dell’inestinguibilità del debito generalizzato (Lazzarato 2013; Adkins 2016)?
d) Basi teoriche per l’analisi e la critica. Da un punto di vista teorico, un tratto saliente degli anni recenti è senza dubbio il ‘ritorno alla materialità’, nei termini di ontologie non-dualiste di varia provenienza, ma ispirate in parte al post-strutturalismo francese (Deleuze, Foucault ecc.: qui è in primo piano la filosofia, p. es. Meillassoux 2008; Bryant et al. 2011), in parte alle nuove prospettive tecno-scientifiche (qui sono in primo piano gli STS: p. es. Mol 1999; Latour 2004), in parte al recupero di ontologie non occidentali (qui sono in primo piano i post-colonial studies, p. es. Escobar 2010, e l’antropologia, su cui cfr. citazioni precedenti), in parte alla teoria politica e sociale femminista e post-umanista (qui è centrale il tema dell’integrazione tra umano e non umano, incluso il macchinico: p. es. Barad 2007; Coole and Frost 2010; Braidotti 2013; Haraway 2016). Nell’orbita marxista, poi, importanti sono gli sviluppi dell’autonomismo, anche in direzione di una sintesi ‘vitalista’ con temi post-strutturalisti (p. es. Hardt and Negri 2004; Virno 2001); gli autori che hanno lavorato sulla nuova accumulazione e sull’ecological rift (p. es. Harvey 2003; Smith 2006; Moore 2015; Foster et al. 2011); e quelli che, contro le proposte ‘regressive’ emerse negli ultimi anni (decrescita, neolocalismo, neoruralismo ecc.) sostengono la necessità di un ‘attraversamento’ del capitalismo tramite accelerazione tecnologica (Williams & Srnicek 2013). Il punto, però, è che ciascuna di queste prospettive (post-strutturalismo, nuovo materialismo, vitalismo, post-umanismo, accelerazionismo, neolocalismo, ecc.) appare anche sviluppata da, funzionale a, e applicata secondo logiche (iper)capitaliste (p. es. Asafu-Adjaye et al. 2013); logiche che tematizzano tra l’altro il ritorno dell’eccezionalismo umano nella veste di una ‘sostenibilità post-naturale’ (Arias-Maldonado 2013) (ossia un addio definitivo alla natura come sfera implicata nel, ma distinguibile dal, sociale, e dunque interfaccia cruciale per ogni progetto di cambiamento sociale), riproponendo il problema della cattura e integrazione della critica (Virno 1996; Boltanski and Chiapello 2005), e della necessità di trovarsi, per così dire, sempre un passo in avanti rispetto all’avversario. Il che non significa naturalmente che, a tale scopo, grandi apporti del passato non possano essere riutilizzati: non solo l’eredità Marxiana, ma anche, per esempio, quella di autori come Adorno e Benjamin.

Riferimenti bibliografici
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